venerdì 24 luglio 2009

domenica 30 dicembre 2007

Artist Statement

Sebbene la presenza umana sia accuratamente evitata nell’immagine di architetture industriali della serie BLAST (1), ciò non significa che il protagonista di quanto vi si narra siano le inerti cose ritratte. Tutt’altro: sono proprio loro, le cose, anche nei dettagli formalmente più estremi, a parlarci dell’azione dell’uomo e dei sentimenti esperiti durante il transito in quel luogo. Oggetti come un casco di protezione, un segnale di attenzione, un armadietto od anche un residuo di macchina qualunque evocano, senza nominarla, la presenza di vita operaia, con tutto il fardello di emozioni individuali e collettive che si porta appresso. Per condizione, per storia. In ultima analisi, per definizione. E ciò basta, a noi, per giustificare la motivazione a darne testimonianza. Ma c’è dell’altro: il taglio spesso frontale dell’inquadratura diventa dato di stile, topos privilegiato di una visione certamente influenzata dalla mediazione culturale - esercitata con discrezione nell’arco di un lungo tempo biografico - dalla Storia dell’Arte. Quella di schiacciare il soggetto, appiattendolo sulla superficie bidimensionale del supporto non è altro, dunque, che un’inclinazione poietica derivata dalle affinità compositive con la Pittura e col progetto d’Architettura, cui spesso ci si compiace di somigliare. Di fotografico rimane tutto il resto, che non è poco. La tecnica innanzitutto, tanto analogica che digitale. La post-produzione numerica, per quanto consente di adattare alle proprie esigenze espressive i vincoli ottico-compositivi dell’azione di ripresa. S’intravede, in questo lavoro di mappatura visuale dell’universo industriale in disuso, il tentativo di rendere esteticamente gradevole, se non bello, il soggetto in rovina, nella consapevolezza, però, del rischio di manifestare una certa ambiguità ideologica durante la fase ermeneutica di attribuzione di senso al prodotto fotografico. Queste ed altre parole intendono darne conto. Nel ribadire la predilezione per il soggetto-oggetto, l’attenzione della nostra ricerca visiva si concentra, con prevalenza, sui luoghi più frequentati della metropoli diffusa (2), gli sprawls (3). Qui, assumendo la fortunata definizione di origine antropologica - ormai parte della vulgata corrente - cioè nei cosidddetti “non luoghi” (4), si concentra quanto di più maledettamente indispensabile a descrivere l’umana condizione contemporanea. Intendiamo proprio dire che la tragedia dell’essere si consuma proprio qui, tra gli scaffali di un ipermercato, in una stazione ferroviaria, in una zona industriale, in un motel, in un autogrill, in una stazione di servizio e via dicendo. Abbiamo citato esclusivamente luoghi pubblici. Sì, perché quelli privati, per quanto spiati possano essere, sono raggiungibili dall’occhio del fotografo solo per via di complicità o di simulazione. Poi, quando succede, è al prezzo di una violenza che noi non possiamo condividere. Basta il mezzo televisivo a documentare, in quantità industriale peraltro, l’orrore segreto delle vicende individuali. A chi, come noi, utilizza il mezzo fotografico per interpretare la realtà, non resta che indirizzare lo sguardo sugli uomini per via metonimica. Fissare una scarpa slacciata per dichiarare la morte del soggetto. Evocare senza nominare, dunque. Se non altro, per non uccidere (5) una seconda volta i propri testimoni. Insomma, dobbiamo al linguaggio fotografico, alla sua resa immediata l’occasione per tradurre in immagine i percetti (6) di una visione parziale, personale ma assolutamente sincera e disincantata. La nostra.


(1)
(2)
(3) Marc Augè, Nonluoghi. Introduzione a una antropologia della surmodernità, Elèuthera, 1993

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(5)
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Introduzione

BLAST è un’area industriale dimessa della costa Adriatica, a nord di Ancona. Su una superficie di oltre 18 ettari, incuneata tra la statale 16 e la ferrovia, scorrono i monumentali edifici che ospitavano la produzione di concimi chimici, avviata all’inizio dello scorso secolo (1). Come la gran parte degli insediamenti industriali di quell’epoca, la sua collocazione geografica assumeva un valore strategico in relazione al sistema viario di cui entrava a far parte (2). La via marittima da un lato e quella ferroviaria, dall’altro, garantivano la fluidità dei trasporti delle materie prime, in entrata, e dei prodotti finiti, in uscita. Attiva fino alla fine degli anni ’80, la fabbrica giace ora in stato di abbandono, in attesa venga definitivamente portata a termine l’azione di bonifica del terreno e definiti i criteri di recupero di alcune strutture lignee di alto pregio architettonico. Se i tempi della riqualificazione urbanistica si sono dilatati oltre ogni sensata misura di valorizzazione sociale, turistica ed economica del territorio, occorre rilevare che, frattanto, gli edifici più facilmente abitabili, come la palazzina della Direzione, sono stati, in più occasioni e ripetutamente nel tempo, utilizzati come dimora provvisoria da sbandati, nomadi e migranti clandestini. Il fenomeno dell’occupazione abusiva, quanto mai di attualità in questi tempi di profonde e complesse trasformazioni socio-economiche a carattere globale (3), in cui alla condizione di precarietà esistenziale assunta da fasce sempre più ampie di popolazione nazionale – estromessa o rigettata, a diverso titolo, dal lavoro attivo - si vanno ad aggiungere i poveri del mondo (4), attratti dallo sfavillio delle merci d’Occidente, è diventata una diffusa modalità abitativa, specie nelle periferie metropolitane. Tanto che non è difficile riconoscervi, oltre i sintomi di un malessere sociale diffuso, pure il luogo di invenzione e produzione di nuove forme-categorie culturali, specificatamente legate all’universo giovanile, anch’esso travolto, sia pure con effetti di prospettiva, dal disagio della condizione post-modena (5). Entro questo quadro, dai contorni assai fluidi, liquidi direbbe Bauman (6), si colloca il lavoro di ricerca di Antropologia Visiva (7) testimoniato da una selezione di immagini fotografiche che narrano il fascino estetico del manufatto industriale dimesso e le vicende di quanti, frequentandolo alla stregua di un hotel per derelitti, vi hanno lasciato traccia di sé. Il termine BLAST – graffito che compare su una parete interna, al piano terreno, dell’ex reparto…..– ha valore polisemico poiché, oltre a significare una combustione di processo nel gergo tecnico (8), esso rappresenta la grafia chiusa di un asciutto simbolo di ribellione. E ciò, nella nostra Visione, mette in risalto il senso Estetico delle Rovine. Solo in esse perdiamo l’illusione di possedere il nostro tempo. Il dramma è: come non esserne schiavi? Ovvero, come essere padroni del nostro tempo, senza che altri, od altro, se ne approprino? La risposta non è univoca, ma a noi piace pensare, e dire, che nell’effrazione della lingua e nella rivoluzione sensibile dei significati sia contenuto il segreto individuale - questo sì - di tale ricerca. Altrettanto individuale sarò la risposta, ma diffonderla e condividerla significa attuare un processo di comunicazione senza barriere di luogo, di tempo e di spazio. L’azione, come un colpo di teatro, si compie qui ed ora, ma dilata le sue energie ovunque ci sia un recettore capace di captarne le mosse. E’ l’invisibile ma attivo potere dell’Intelligenza Collettiva (9) della Rete, luogo virtuale dove anche la nostra sensibilità estetica ha scovato delle affinità (10) e ricavato un’area di connessioni identitarie (11) che confermano l’opportunitò di una riflessione analitica sull’Estetica delle Rovine.


(1) Campana Giuseppe, Giacomini Ruggero, Il sito ex montedison. Storia, situazione, prospettove di recupero, Comune di Falconara Marittima, 2006
(2)
(3)
(4)
(5)
(6)
(7)

Sui significati della parola BLAST nella lingua inglese, si veda: http://en.thinkexist.com/
Blast Meaning and Definition
1. (v. t.) To rend open by any explosive agent, as gunpowder, dynamite, etc.; to shatter; as, to blast rocks.
2. (n.) A flatulent disease of sheep.
3. (n.) A violent gust of wind.
4. (n.) The exhaust steam from and engine, driving a column of air out of a boiler chimney, and thus creating an intense draught through the fire; also, any draught produced by the blast.
5. (v. t.) To injure, as by a noxious wind; to cause to wither; to stop or check the growth of, and prevent from fruit-bearing, by some pernicious influence; to blight; to shrivel.
6. (n.) A sudden, pernicious effect, as if by a noxious wind, especially on animals and plants; a blight.
7. (v. i.) To blow; to blow on a trumpet.
8. (v. t.) Hence, to affect with some sudden violence, plague, calamity, or blighting influence, which destroys or causes to fail; to visit with a curse; to curse; to ruin; as, to blast pride, hopes, or character.
9. (v. t.) To confound by a loud blast or din.
10. (n.) A forcible stream of air from an orifice, as from a bellows, the mouth, etc. Hence: The continuous blowing to which one charge of ore or metal is subjected in a furnace; as, to melt so many tons of iron at a blast.
11. (n.) The sound made by blowing a wind instrument; strictly, the sound produces at one breath.
12. (n.) The act of rending, or attempting to rend, heavy masses of rock, earth, etc., by the explosion of gunpowder, dynamite, etc.; also, the charge used for this purpose.
13. (v. i.) To be blighted or withered; as, the bud blasted in the blossom.
Ulteriori attribuzioni di significato sono da segnalare………………


(8)
(9) Pierre Levy/ Derris De Kerkove

BLAST_Materiali per un'Estetica delle Rovine

INDICE

Introduzione

Artist Statement

La storia di Ebrahim l’Egiziano in 2367 parole.

GALLERIA IMMAGINI (#1-60)

Conclusioni

Bibliografia
Filmografia
Sitografia